Anche la preparazione del viaggio in Marocco ha naturalmente avuto il suo ascolto, assaporato e cullato in una distillazione che prepara gli amorosi sensi all’esperienza dell’incontro.
Prima di partire, in cerca di testi che mi suggerissero la fragranza della dimensione del paese nel quale stavo per immergermi, mi sono imbattuta in una vecchia conoscenza: Tahar Ben Jelloun, scrittore e saggista marocchino fra i più celebri e importanti del Regno maghrebino (traduzione dall’arabo al tamazight – la lingua dei berberi – del nome “Marocco”).
Tahar Ben Jelloun nasce a Fès nel 1944. La Tangeri della sua adolescenza ricorre nella sua scrittura, con tutte le sfumature e i contrasti di una città nord africana che fa da ponte con il meridione di una Europa che profuma di esotico a chi la guarda alzandosi sulla punta dei piedi, dall’altra parte del mediterraneo.
Importante è stato il suo contributo alla causa dell’anti razzismo, affrontato su tutti nel celebre Il razzismo spiegato a mia figlia, che conservo fra i miei libri preferiti e più vissuti di ragazzina.
Faccio una ricerca in biblioteca, e fra i diversi titoli dell’autore ne scelgo due: la raccolta di racconti Amori stregati, e il romanzo Creatura di sabbia. Sento che sono i libri che più si avvicinano a introdurmi nella dimensione nella quale sto per entrare, lasciandomi scivolare con l’intensità delle immagini che parole ben scritte possono evocare.
Amori stregati è una raccolta di 18 racconti, suddivisi in quattro parti: Amori stregati, Amori contrariati, Tradimento, Amicizia.

 

Gli ingredienti della scrittura sono attinti dalla tradizione favolistica orientale, sapientemente mescolata con la contemporaneità: della società marocchina nello specifico, e delle molteplici sfumature di un sentimento che si declina in più coniugazioni.
Alcuni racconti si richiamano l’uno con l’altro, come se il filo invisibile del dialogo fra i personaggi scorresse fra le pagine: l’autore rimane imparziale, ama sempre e comunque tutti i suoi personaggi, come un padre, e dona a ciascuno di loro il diritto di esprimere il proprio punto di vista.
Leggiamo allora le vite e gli incontri di e tra uomini e donne che si sfiorano e si incastrano perdendosi o completando il puzzle delle loro esistenze. C’è poi chi assiste da testimone esterno agli amori degli altri, vissuti e guardati come enigmi da chi ne è esterno, o sotto forma di sogni da analizzare per distillarne un senso.
Sono amori che sanno dell’atmosfera carica di calura, odori penetranti, turbamenti, e dell’influsso della tradizione religiosa intrecciata a una polarità di senso opposto, che spinge verso una sensualità esasperata, peculiare del Marocco.
Storie che tinteggiano l’ambiente che fa loro da palcoscenico e primo spettatore allo stesso tempo.
Tahar Ben Jelloun, con la sottigliezza che gli è propria, parla di amore non ponendo limiti scontati al termine, ma aprendolo a ventaglio: racconta l’erotismo e il romanticismo così come il sentimento dell’amicizia, a volte più potente e più duraturo di quello che lega una coppia.
Creatura di sabbia è un romanzo denso, complesso e molto forte, che richiede un’attenzione particolare nella lettura e nell’assimilazione delle immagini e del contenuto.
 
 
Mohamed Ahmed nasce nel corpo di una donna, con nome maschile e un’anima che fatica a ritrovare la propria voce. Le è destinata la vita di un uomo, prima ancora della nascita, per ferma volontà del padre, che dopo sette figlie indesiderate decide di avere acquisito il diritto di sfidare la natura e Dio, per non perdere onore e patrimonio.
Tahar Ben Jelloun ipnotizza con un linguaggio immaginifico che cuce trame labirintiche, fra le quali chi legge si perde in una tridimensionalità che confonde ogni punto cardinale.
La narrazione viene affidata alla figura di un cantastorie, tipica della tradizione orale marocchina e africana in generale, che si frammenta in più personaggi – narratori, ciascuno dei quali dà vita a una storia a sé, che si incastona nella grossa pietra sfaccettata che è il romanzo complessivo.
Il cantastorie dà appuntamento ai suoi ascoltatori ogni sera ad una delle sette porte della città, una per ogni giorno della settimana.
Leggiamo, e lasciamo che la vista venga abbacinata dal sole africano per poi riposare nelle diffuse penombre del racconto, nella frescura di un riad nel quale si consuma una storia penosa sia per la protagonista del romanzo che per i lettori.
Seguiamo e inseguiamo fra le pagine di quello che è il suo diario segreto – o forse le stanze di un sogno: la scrittura pregna e allo stesso tempo rarefatta lascia aperte le interpretazioni – una creatura fatta di sabbia fuggevole e sdrucciolevole come la sua identità, dispersa nei meandri di memorie biologiche e interiori che si sono fatte sempre più remote.
Il romanzo di Tahar Ben Jelloun è una dichiarazione di alleanza con il femminile che viene bistrattato e ucciso da tradizioni arcaiche che nulla hanno a che fare con il vero significato spirituale della religione alla quale fanno riferimento.
Entrambi i libri mi hanno coinvolta e in qualche modo turbata, e questa è la dimostrazione che hanno assolto il loro “compito”: quello di intingere le mie dita nell’atmosfera del paese che ho suonato, per oltre un mese di incontri, avventure, disavventure. Crescita, come in ogni viaggio.
A questo proposito trovo molto intelligente l’iniziativa della compagnia tedesca Condor , che consente (ma solo fino al 31 agosto!) di imbarcare un kg del proprio bagaglio in libri. Proprio perché, dicono, “Se si desidera immergersi mentalmente in questi Paesi (n.a.: dove la compagnia vola), bisogna informarsi e leggere storie ambientate in quei Paesi”.
Ben detto. Io ho sempre fatto così, e mi unisco nel consigliarlo vivamente a tutti i viaggiatori.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *