Il Festival International du Cinema et la Mer è stato per me occasione di vivere esperienze diverse, tutte interessanti e ricche di spunti. Ero arrivata qui pensando che mi sarei occupata semplicemente di scattare foto e scrivere un articolo sul festival, e invece, durante il viaggio da Agadir a Mirlfet, Abdou mi ha comunicato che l’avrei affiancato nella conduzione dei workshops che avrebbe tenuto in alcune scuole di Mirleft.
Al momento sono rimasta un po’ interdetta, e non ero sicura di riuscire a improvvisare, senza avere prima preparato qualcosa di concreto di cui parlare. Non immaginavo che sarebbe stata una bellissima esperienza, e che avrei addirittura avuto voglia di ripeterla.
Come ho avuto modo di raccontare nell’articolo sul festival, Abdou e gli altri ragazzi hanno organizzato il programma con grande entusiasmo, e una voglia genuina di portare cultura in luoghi lontani da quelle grandi città dove tutto accade, anche in ambito artistico-culturale. Inoltre il Marocco è un paese nel quale una ricca cultura convive con profonde restrizioni imposte alle donne, che nella gran parte dei casi hanno un accesso limitato all’istruzione e alla fruizione culturale: ne ho avuto conferma, notando come solo le bambine e le ragazzine più piccole fossero presenti agli incontri, mentre nel gruppo dei giovani ragazzi sui venti anni non c’era nessuna presenza femminile.
Un altro elemento che è emerso, questa volta in positivo, è la grande curiosità e attenzione, da parte di tutti – dai più piccoli ai più adulti – per gli argomenti trattati, cinema e fotografia.
Abdou aveva allestito un programma didattico accurato, avvalendosi anche di diverse slides da lui preparate, che proiettava come integrazione della lezione, condotta ovviamente in arabo. I miei interventi come “ospite internazionale” (come tale sono stata presentata), in lingua inglese, venivano tradotti in simultanea da Abdou ai piccoli spettatori, che non si perdevano una sola parola.
Mi hanno colpita molto i particolari dell’aula: pochi oggetti, che con la loro aria vissuta e “consumata”, raccontavano delle giornate trascorse da questi bambini, con tutta la loro freschezza e ingenuità.
Mi sono accorta subito, con grande piacere, che i bambini amavano farsi fotografare: in particolare, un gruppetto di tre bambine, vicine di banco, si sono messe in posa a più riprese davanti all’obiettivo della mia macchina fotografica, regalandomi grandi sorrisi.
I bambini ascoltavano, e la concentrazione lasciava spazio ogni tanto allo scambio di risatine di intesa….chissà cosa pensavano, e cosa si dicevano, con il loro alfabeto muto!
…c’è stato spazio anche per il gioco e le canzoni, nei quali i bambini sono stati guidati da un bravissimo animatore, uno dei ragazzi dello staff del festival, che sembrava avere una grande esperienza con l’infanzia.
Questa bella bambina è la sorella del ragazzino che la tiene in braccio. E’ apparsa da un momento all’altro, ed è stato molto bello osservare come suo fratello fosse affettuoso e protettivo con lei: è rimasta con noi, osservandoci in silenzio, con il suo sguardo penetrante.
Alla fine dell’incontro…tutti fuori, al sole, per sgranchirsi le gambe e scattare una foto di gruppo.
Fuori dalla scuola, mentre aspettavamo che ci venissero a prendere per tornare al nostro “quartier generale”, ho avuto agio di contemplare lo splendido scenario naturale che ci circondava, ma non solo: ho osservato i movimenti dei bambini, che in piccoli gruppi si avviavano verso casa, per vivere il resto della loro giornata in un modo sicuramente molto diverso rispetto ai loro coetanei abitanti del mondo occidentale, ma, ne sono sicura, allo stesso tempo anche in modo molto simile, per alcuni versi.
Nei giorni successivi ci sono stati altri incontri: abbiamo incontrato un gruppo di ragazzi più grandi, sui venti anni, incontrati nella stessa scuola.
Al termine della lezione, molto stimolante, perché i ragazzi che bevevano ogni nostra parola, intervenendo anche con le loro domande, è stato proiettato uno dei film premiati nella scorsa edizione del festival.
Infine è stata la volta dell’ incontro con altri bambini, facenti parte di un’associazione che aveva sede proprio vicino al nostro residence. A questo incontro ha partecipato anche Khodir Sekkouti, l’attivista algerino per i diritti della minoranza amazigh alla cui storia, come gli ho promesso, dedicherò un articolo apposito. Uomo colto e intelligente, ha saputo comunicare con i bambini in modo semplice e piacevole.
Ed eccomi, mentre affianco Abdou, insieme alla mia macchina fotografica, in una serie di immagini scattate gentilmente da Khodir Sekkouti.
Cosa ho imparato dall’esperienza di condivisione culturale con i bambini di Mirleft: in questo articolo sono soprattutto le immagini a parlare, perché sono ciò che più è rimasto impresso anche nei miei ricordi, e negli occhi interiori.
La mia lingua era una lingua straniera, rispetto a quella parlata da questi bambini e ragazzi: l’intermediazione linguistica è stata utile, ma ancora maggiore forza comunicativa hanno avuto gli sguardi, e lo Sguardo, che è stato anche argomento del mio intervento sulla fotografia.
Ciò che conta, sempre – e ne ho avuto ulteriore conferma in questa occasione – è uno Sguardo aperto, presente, attento.
Questi bambini e ragazzi ne erano indubbiamente dotati, come, e ancora di più, per alcuni versi, di quelli che ho incontrato in altre occasioni nel corso della mia attività teatrale in Europa. Li ho esortati a mantenere in allenamento i loro occhi, a prescindere dagli strumenti che avranno in mano, perché l’ espressione artistica parte dalla capacità di vivere ogni istante del quotidiano riconoscendolo come un frammento d’arte.
Condividere cultura è ciò che amo di più, ciò che mi sta più a cuore. Nella parola Cultura è racchiusa un’altra fondamentale parola chiave: Vita.
Cultura è Vita, e amore e rispetto della Vita tutta. E viceversa.