(Dicembre 2015)

Venezia si affaccia su se stessa, crogiolandosi nel tepore della sua bellezza riservata.
E’ mattina, e un pianoforte sussurra fra sé e sé.

E’ fatta di frammenti, piccoli pezzi di vetro che scompongono i suoi lineamenti impenetrabili, racchiudendo quel concentrato di passione che gli spiriti riservati spesso covano ad insaputa del resto del mondo.

Sbocconcello passi curiosi ma non affannati, cercando nelle sue tasche i piccoli dolci casalinghi che riserva a chi la sa guardare, e ascoltare, rinunciando al turismo,

e facendosi abitante.

 

 

 

 

 

Penetro nel ghetto del sestiere di Cannaregio, dove un tempo le fonderie pubbliche ghettavano (affinavano il metallo con la ghetta), tra le sue case alte e strette fra loro per riuscire ad abbracciare tutti i loro inquilini, giunti come affluenti da tante terre d’Europa.

 

Gli angoli dove i veneziani, per nascita o per scelta, lisciano pensieri e sguardi intimi, chiusi alla folla delle mille lingue che invade il loro quotidiano.

 

 

 

A Venezia si studia con colonna sonora acquatica, socchiusi in un bozzolo materno.

 

Acqua, acqua, acqua.
 
 

 

L’acqua gorgoglia istanti di vita, sudata, rimescolata, smozzicata, sospesa.
L’acqua traghetta, e permette di sostare fra le sue braccia che cullano leggere.

Il profilarsi delle città d’acqua sussurra di calviniane Città Invisibili ….
 
 
 
L’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose.
Murano, ponti che uniscono le sfumature dell’acqua,
                        i mosaici di piccole chiese calpestate da silenziosi passi stropicciati.

 

 

 
Burano, il fumetto del colore:
sembra che il mondo intinga il pennello fra le sue case.

 

 

 

 

 

 

Torcello, il rifugio degli spiriti malinconici
che allargano le braccia nella natura. Qui tutto è pregno di saggezza.
 
 

 

 
Poi, resta il tempo del profumo misterioso che ogni città racchiude gelosamente.

 

 

 

 

 

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